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Come sostenne Wilhelm von Humboldt facendo riferimento al linguaggio, con i segni l’uomo accede e vive in un regno intermedio tra le rappresentazioni e il mondo: ma i segni svolgono di volta in volta la funzione di potenti stabilizzatori, de-stabilizzatori e moltiplicatori di mappe, cosicché è nel passaggio tra le mappe che si colgono anzitutto le differenze.[…] Tra le posizioni che abbiamo considerato nell’articolo, quella di Maturana è la più singolare e sembra eliminare il problema dell’intermedietà, poiché considerando le basi neurofisiologiche della conoscenza umana non distingue più come polarità autonome e sussistenti i due termini della relazione mappa/territorio. Le nostre mappe diventano il nostro territorio e non possiamo uscirne. Circolarmente, il solo territorio che possiamo conoscere e di cui possiamo parlare consiste nelle nostre mappe. Muoversi nel territorio e conoscerne aspetti diversi significa dunque muoversi tra mappe e considerarne parti diverse o possibili variazioni, quali si ottengono cambiando codici o regole di “proiezione”. Ma il territorio da proiettare, per noi, non è altro che una mappa “costruita” dall’embodied mind. Pretendere di uscire dalle mappe o anche soltanto di sporgersi al di là del loro contorno sarebbe come pretendere di spogliarsi del sistema nervoso: significherebbe figurarsi in una posizione in cui non si può essere, come se si potesse conoscere il mondo senza il filtro neurofenomenologico che ci contraddistingue, senza il quale non potremmo esistere né conoscere. Se da un lato la tesi di Maturana contrasta con l’affermazione di Korzybski citata in partenza e ripresa da Bateson, l’analogia tra territorio e cosa in sé kantiana proposta dallo stesso Bateson riconduce alla posizione di Maturana, giacché della cosa in sé – in quanto in sé – non possiamo dire né conoscere alcunché. Possiamo dunque tentare di conciliare le due posizioni affermando che 1) la mappa non è il territorio e 2) poiché il territorio in sé ci è inaccessibile, 3) la mappa è il solo territorio di cui possiamo parlare e che possiamo conoscere. Questa ipotesi di riscrittura utilizza il termine ‘territorio’ con due significati differenti. Ci sono un territorio che ci rimane inaccessibile e non rientra nelle nostre mappe – di cui, citando il Wittgenstein ripreso da Maturana, non possiamo che tacere – e un territorio – il nostro territorio – costituito dalle nostre mappe, con le loro differenze.[…] Quando si dice che non abbiamo un accesso cognitivo diretto al territorio in senso stretto, s’intende dire che non possiamo vedere, conoscere e riconoscere l’infinità di differenze che attribuiamo al territorio e che ogni singola differenza rilevata (ogni particolare concreto) è già una costruzione per via di selezione: ci rapportiamo al territorio soltanto selezionando, includendo ed escludendo, lasciando qualcosa sullo sfondo. Il territorio è come l’orizzonte o la frangia delle nostre mappe: lo intravediamo, per così dire, nei passaggi tra le mappe e le molteplici descrizioni possibili. Diciamo, con Bateson, che il territorio è scenario di infinite differenze non perché le abbiamo viste, ma ci rendiamo conto che ogni nostra mappa è una necessaria semplificazione rispetto all’eccedenza di differenze che fa da sfondo alla sua costruzione. Il territorio è ciò che postuliamo e proiettiamo dietro le nostre mappe, allorquando intravediamo la parzialità delle mappe di cui disponiamo, la possibilità di averne altre e l’impossibilità di una mappatura definitiva. Possiamo distogliere lo sguardo dalle mappe, non assolutizzarle, non prenderle alla lettera, intravedendo l’irriducibilità di mappa e territorio e ne consideriamo la relazione.

(Mappa E Territorio. Il Problema Del Referente Nelle Rappresentazioni Del Mondo , Luca Mori )

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